I rischi dell'utilizzo dei social in ufficio

Le dieci regole per tutelarsi

Inserito il 2018-07-21 00:00:00

Osserviamo con preoccupazione la recente, progressiva e generale implementazione “social” delle piattaforme informative aziendali. In questi ultimi anni, infatti, moltissime imprese (“digitali” o no) stanno praticando un uso non estemporaneo, ma “organico” dei social.

Le imprese colgono, nel fenomeno “social”, nuove opportunità di business e nei propri dipendenti, inediti veicoli di comunicazione commerciale, arrivando ad “incentivare” emotivamente gli stessi ad intraprendere azioni di promozione e proposizione del brand che essi rappresentano. I social network (e con essi i lavoratori di ciascuna azienda, sempre meno “liberi opinionisti” e sempre più “testimonial” del brand) appaiono insomma pienamente innestati nelle politiche commerciali aziendali.

Per queste ragioni, e non solo, riteniamo utile segnalare questo decalogo di comportamento "virtuoso" per operare in modo corretto. Si tratta di un elenco di regole pubblicato dall'autorevole associazione ADAPT, l'Associazione senza fini di lucro, fondata da Marco Biagi nel 2000 per sostenere, in una ottica internazionale e comparata, studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro.

 

IL DECALOGO ADAPT

1) In primo luogo, è indubbiamente sconsigliabile l’indicazione, tra le informazioni del proprio “profilo”, dello status di “dipendente della tale azienda”, così come è da evitare di richiamare il logo aziendale. Tale premura infatti può favorevolmente mitigare o, in alcuni casi, escludere gli aspetti di rilevanza sociale.

2) In secondo luogo, e per le stesse ragioni, è opportuno “profilare” il proprio livello di privacy con accesso limitato.

3) È da evitare la pubblicazione di opinioni personali riguardanti la propria azienda, e di riportare come proprie anche le considerazioni altrui, anche se di autorevoli economisti o esperti di settore. Se fosse ritenuto necessario farlo, per particolari ragioni, occorre limitarsi a postare “link” riferiti ad articoli di stampa di fonte affidabile e contenuto non diffamatorio o denigratorio.

4) È necessario utilizzare, quando si riportano fatti e circostanze, dati obiettivi e di dominio pubblico; evitare la pubblicazione di notizie o fatti di dubbia veridicità e di fonte ignota; evitare la pubblicazione di foto di locali aziendali e ambienti di lavoro e, più in generale, di dati che potrebbero essere interessati a vincoli di riservatezza e confidenzialità (email, circolari, ecc.).

5) È opportuno verificare l’emanazione di normativa aziendale attinente all’uso dei social network, e in tal caso, per quanto ovvio, attenersi ad essa: l’individuazione fatta dal datore di lavoro, in quella sede, di fattispecie di rilevanza disciplinare può valere come pubblicazione in bacheca di regolamento disciplinare.

6) È sconsigliabile l’uso dei social durante l’orario di lavoro (se non nei termini consentiti dai regolamenti aziendali) ed a maggior ragione farlo utilizzando strumenti di lavoro come PC, tablet e smartphone aziendali, in quanto i controlli difensivi operano sul presupposto (per quanto opinabile) di una completa integrazione nel “patrimonio aziendale” persino dei contenuti intellettuali resi mediante gli strumenti di lavoro.

7) È opportuno utilizzare uno stile formale e toni comunicativi adeguati all’oggetto della comunicazione, evitando espressioni offensive o comunque poco consone alla materia trattata, in particolare qualora attinenti al settore di attività lavorativa e, ancor più, alla propria azienda o ad altre aziende del settore.

8) È necessario evitare di esprimere valutazioni, opinioni, commenti e dichiarazioni che riguardino dati e conoscenze acquisite nell’ambito del proprio specifico ambito di competenza professionale e di ruolo: è infatti sempre implicato il rapporto di servizio nel contenuto delle dichiarazioni rese, e dunque prevale l’obbligo di fedeltà e di riservatezza sul diritto di opinione. In questa materia, il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è abbastanza labile ed esistono ampie zone d’ombra del diritto. Ad esempio, anche per l’uso dei social network esiste l’ambito della responsabilità extracontrattuale per danni causati da “terzi” (in questo caso, dal lavoratore): circostanza, questa, che espone il lavoratore a potenziali rischi nell’uso del network stesso, indipendentemente dal livello di privacy adottato.

9) È opportuno, nell’articolazione della difesa in ambito disciplinare (ex art. 7 Legge 300), adottare un atteggiamento di positiva (ma prudente) collaborazione. In particolare, rammentiamo che la persona accede al mezzo social mediante una “identità virtuale” che non certifica, di per sé, la corrispondenza tra persona e profilo. L’onere della prova della imputabilità soggettiva incombe sempre al datore di lavoro, che potrebbe preferire assumere, preventivamente rispetto al procedimento disciplinare, dichiarazioni scritte di valore confessorio (superando gli ostacoli della prova presuntiva). Anche l’assistenza sindacale, in caso di audizione difensiva a seguito di contestazione disciplinare, può risultare decisiva, contribuendo a far luce sulla buona fede del lavoratore e suggerendo l’opportunità, da parte del datore di lavoro, di adottare sanzioni conservative. Elenco sindacalisti FABI Gruppo Intesa Sanpaolo ]

10) Rammentiamo, infine che, a seguito della Riforma Fornero (che riguarda sicuramente tutti i dipendenti di aziende con più di quindici dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015) e ancor più dopo il Jobs Act (che riguarda tutti i dipendenti di aziende assunti dopo il 6 marzo 2015), l’accoglimento della domanda del lavoratore in sede di impugnativa giudiziale del licenziamento disciplinare illegittimo comporta solo in casi residuali la reintegra nel posto di lavoro. In particolare, è esclusa la tutela reale se la sanzione disciplinare, pur ritenuta dal giudice eccessiva e “sproporzionata”, riguardi un “fatto oggettivamente sussistente”.

 


17 luglio 2018